La storia può cominciare a Comerio di Varese nello studio di Giovanni Borghi, presidente della Ignis, allora (anni ’60) una delle più grandi aziende di elettrodomestici. Davanti al suo scrittoio stanno, su due ampie poltrone, Cesare Bensi, sottosegretario alle Finanze, accompagnato da un funzionario del Ministero. Il dialogo è quasi inesistente, sostituito da un sorriso di convenienza, quasi un clichè, dei tre personaggi. L’inchiesta è aperta ma la storia non ha fine. E’ la solita dialettica sartriana senza sintesi. Alienazione – liberazione – nuova alienazione.
Il funzionario rompe l’immobilità della scena sfilando da una borsa un assegno del Ministero e consegnandolo al Borghi, il cui sorriso diviene immediatamente più aperto e genuino. Riposto l’assegno in un cassetto, il Borghi prende da sotto lo scrittoio una borsa a soffietto e la posa sullo scrittoio aprendola. E’ una borsa di banconote che il funzionario richiude e riprende senza permettersi alcun controllo. La fiducia è ovvia.
L’incontro può dirsi concluso e il Bensi, dopo le calorose strette di mano, si avvia all’uscita seguito dal funzionario e raggiunge l’auto blu del Ministero. Il funzionario, al tempo indivisibile dal suo vice-ministro, funge anche da autista. Sfreccia verso Varese, attraversa la città, imbocca l’autostrada, esce al casello di Castellanza e raggiunge Saronno parcheggiando la macchina in una strada occupata da auto di cilindrata medio-alta. I due percorrono un centinaio di metri e forse più e raggiungono un condominio dove abita Giancarlo D’Agostino, segretario della Federazione Socialista della provincia, che li riceve con un certo disappunto. “Sai benissimo che non voglio avere a che fare con queste cose” “Abbi pazienza. Non posso portare la borsa a Milano. Ho sempre paura di trovarmi in casa la Guardia di Finanza. Mi hanno informato che strane persone fanno la posta in via San Vincenzo. Domattina presto veniamo a riprenderla e andiamo direttamente a Roma”. Non è una novità che in Italia i poteri si siano sempre controllati a vicenda. Allora come, del resto, anche oggi. Il mattino seguente riappare l’auto blu sfrecciando subito dopo non per Roma, ma per Napoli, dove risiedeva Emilio De Martino, a quel tempo segretario nazionale del PSI, carica che passò poco a presso al suo socio Mancini.
Finora abbiamo descritto la dinamica del fatto giungendo fino a Napoli. Ora dobbiamo spiegare che senso ha quella borsa e che cosa le ruota intorno.
Esisteva una legge che autorizzava il rimborso alle aziende dell’IGE (divenuta poi IVA) pagata sulle esportazioni. Per sovrintendere a questo settore De Martino aveva nominato sottosegretario alle Finanze uno dei suoi portaborse, ossia il Cesarino Bensi. Costui si metteva in contatto con le più importanti industrie della sua circoscrizione elettorale, ossia il varesotto, e accelerava la consegna degli assegni. In cambio riceveva in contanti metà dell’importo indicato nell’assegno, destinata come obolo alle casse del PSI. In fin dei conti questi industriali aiutavano finanziariamente un partito politico. In cambio ricevevano con una certa sollecitudine una parte del rimborso che altrimenti avrebbero dovuto attendere “a babbo morto”. Ma, a questo punto, sorge un interrogativo. Perché a Napoli (ovviamente ad insaputa degli industriali) e non a Roma?
E qui comincia una seconda parte della storia.
De Martino, napoletano, si era accordato con la camorra, sia per un sostegno elettorale al partito sia per la assegnazione delle preferenze a uomini della sua corrente all’interno del partito. Il prezzo da pagare era metà di quella borsa, ossia un quarto dell’assegno staccato dal Ministero.
E’ intuibile che il contante della borsa non arrivasse intatto a De Martino. Il Bensi aveva le pareti della casa di via San Vincenzo cariche di quadri d’autore, e come copertura, aveva aperto un negozio d’arte e d’antiquariato intestandolo alla moglie. Ne derivava che l’importo della borsa, consegnato a De Martino, non era più la metà dell’assegno e di conseguenza il quarto destinato alla camorra non corrispondeva più al quarto dell’assegno. E tutto ciò, ovviamente, all’insaputa di De Martino.
A questo punto sorge un problema all’interno del partito. Un gruppo di ex partigiani delle Brigate Matteotti denuncia questa intollerabile connivenza con la camorra. Bisogna dire che questo gruppo nutriva un vecchio rancore per l’avvenuta emarginazione anni prima (come già scritto nel comunicato 10) di Corrado Bonfantini, il fondatore e comandante generale delle Brigate Matteotti, che lo si era sempre desiderato a capo del partito e non solo. La denuncia era all’interno del partito ma i dirigenti non tolleravano più la stessa esistenza di quel gruppo. De Martino allora, d’accordo con Mancini, decide di por fine a quella opposizione che potrebbe rischiare di diventare pubblica. Così decide di allontanare i Matteottini dalla vita politica nominando un magistrato in aspettativa, Martuscelli, alla presidenza del collegio dei probiviri col mandato preciso di liquidare quel gruppo. Il compito era sporco e ripugnante ma il Martuscelli accetta se, in cambio, avrà la candidatura ad un seggio senatoriale (non ricordo se Salerno o Caserta). Candidatura che De Martino non solo gli promette ma gli assicura. Il Martuscelli riuscì ad inventare un’accusa che non aveva alcuna rilevanza giuridica, ossia né penale né civile ma che poteva avere risonanza mediatica se ben orchestrata. L’accusa per circa una cinquantina di Matteottini era di “nepotismo” di cui, a dirla tutta il primo imputabile sarebbe dovuto essere lo stesso De Martino che aveva collocato suo figlio presso la RAI. L’accusa, in ogni caso, era ridicola e infantile ma il killeraggio mediatico produsse il suo effetto. A questo killeraggio si prestò anche il Corriere della Sera. Di partigiani colpiti dagli strali di Martuscelli io, a mezzo di un amico di via del Corso, ne contai 36 (ma saranno stati certamente di più). Fra questi c’ero anch’io. E sapevo il perché. Una volta mi trovavo per caso a Saronno a casa del D’Agostino quando giunse il Bensi con la famosa borsa. Ero un testimone pericoloso. Anche se io, per carità di partito non rivelai mai niente. Questa era l’etica dei Matteottini.
A questo punto avviene un fatto di cronaca nera. Il figlio di De Martino, quello collocato alla RAI, viene rapito dalla camorra.
Che cosa era successo? Una cosa semplice. La camorra, che aveva i suoi infiltrati nel Ministero delle Finanze, era venuta a conoscenza che il quarto degli assegni a lei dovuto era superiore a quanto gli era stato pagato. De Martino, come abbiamo visto, era innocente. Lui stesso era stato ingannato dai suoi bravacci come il Cesarino Bensi. Ma per la camorra responsabile era De Martino e lo sgarro era un dato di fatto. Ma De Martino riuscì a far pagare il riscatto allo Stato.
“Ce passe que”, direbbero i francesi, avviene che al Corriere della Sera arriva una missiva del Martuscelli il quale denuncia che De Martino è spergiuro, non ha mantenuto la promessa di candidarlo a un collegio senatoriale. Per cui si sente autorizzato a rivelare che il seggio senatoriale era il prezzo per liquidare, allontanandoli dal partito, come il Corriere ben sa in quanto ha contribuito con la sua campagna mediatica, i Matteottini, colpevoli solo di essere stati combattenti per la libertà.
Che cosa era successo?
Semplice. Ingannata da De Martino sull’importo degli assegni, la camorra aveva tolto il suo sostegno elettorale non solo ai seggi senatoriali ma all’intero partito. Tutto ciò è nei documenti consegnati da Martuscelli al Corriere e tuttora esistenti negli archivi di questo giornale. Siamo ai primi anni degli anni ’70 e, come ho già scritto nel mio comunicato n 10 (“L’albero ferito”), non c’è che richiederli.
Da questo momento sono valide tutte le deduzioni sulla continuità del rapporto camorra PSI anche nel periodo craxiano. Devo premettere che io ero l’unico amico che Craxi avesse nel varesotto e mi voleva sempre a Roma nelle riunioni della sua corrente. Quando avvenne l’attacco di De Martino io chiesi il suo intervento che si limitò a una lettera a qualche sindaco e non al Corriere che stava conducendo la campagna senza dare ai Matteottini nessuna possibilità di replica. Così ruppi con lui e, una volta che lo incontrai in Galleria, lo insultai senza dargli neanche il tempo di replicare. Egli allora mi mandò svariate volte a casa Libero Della Briotta, deputato di Sondrio, e suo fedelissimo, con l’intenzione dichiarata di recuperarmi. Ma così non era. Era l’eterna paura che io parlassi in quanto lui stesso aveva utilizzato politicamente quell’argomento. Infatti, mi disse Libero Della Briotta, che Craxi, quando defenestrò De Martino nell’albergo dove questi risiedeva a Roma, ottenne in cinque minuti la consegna dei poteri minacciando appunto di rendere pubblica la sua relazione con la camorra aggiungendo che era in grado di portare testimonianze. Fra queste testimonianze, mi disse Della Briotta, c’era anche la mia.
Di fatto sentii che fra me e lui c’era un vuoto incolmabile. Di mano in mano che egli saliva nel suo delirio di onnipotenza, io lo sentivo cadere. Crollò a Segonelle, non si avvide del ridicolo quando, a nome dell’ONU, voleva insegnare ai Paesi indebitati come diminuire i loro debiti, lui che rappresentava uno dei Paesi più indebitati del mondo. Ma toccò il fondo quando affidò conti miliardari a un barista di Portofino. Finì come finì per aver tradito l’amicizia di chi gli voleva bene. Egli, così sospettoso, aveva fatto deputato nel 1992 un ragazzino di 27 anni che neppure conosceva ma che gli era stato presentato a Napoli. Da chi? Lo stesso ragazzino, oggi di mezza età, viene presentato sempre a Napoli all’erede di Craxi ed ottiene un posto di responsabilità. Viene presentato a Napoli. Da chi?
Archive for October, 2010
Storia surreale di camorra e politica
Saturday, October 30th, 2010Lo scriba – Dalle "Ceneri di Gramsci" alla "Generazione tradita" Il senso storico della nostra epoca
Saturday, October 30th, 2010
I°
Italiano
Abbiamo sempre ubicato nella prima metà del ’900 i nostri poeti divenuti famosi come “ermetici”. Solo uno, Ungaretti con “Il dolore”, tenta di far capolino nella seonda metà del secolo, ossia nella nostra epoca, ma senza riuscire a passare il “Rubicone”.
Avevo anche pensato che lui in particolare, avendo atrocemente patito, come me, il “dolore di chi resta”, avrebbe potuto cantare la mia “follia”. Ma vano questo pensiero perché Ungaretti s’è fermato alle soglie, non dico della Storia, ma della stessa Memoria, che il dolore inevitabilmente produce.
“I ricordi, un inutile infinito”
“I ricordi/ il riversarsi vano/ di sabbia che si muove / senza pesare sulla sabbia”
In termini prosastici, sabbia sulla sabbia.
“…silente/il grido dei morti è più forte”
Perché “silente” ? Il grido dei morti è , per chi resta, un grido straziante che rimbalza fin nelle Galassie perché affamati, e a buon diritto, di Memoria e di Storia.
Possiamo concludere con “Roma occupata”. Nello strazio generale della città,
“…insopportabile il tormento / si sfrena tra i fratelli in ira a morte”
Ungaretti si sente “blasfeme le labbra” perché rimprovera al Cristo che la sua bontà “s’è tanto allontanata”. E qui sta il limite che Ungaretti non riesce a superare.
Perché si rivolge alla bontà di Cristo sentendosi addiritura blasfemo ?
Innanzitutto non è alla bontà di Cristo che deve rivolgersi ma alla bontà di Dio. Gesù è sempre morente sulla croce e sente ai suoi piedi il dolore straziante, umano, laico della Madonna, sua madre, perché è lei che resta con tutto il peso del dolore suo e di tutta l’umanità. Gesù è morente e non sente le labbra blasfeme quando si rivolge a Dio (perché è a Lui che deve rivolgersi) dicendo “Padre perché mi hai abbandonato?”. Ungaretti non ha il coraggio di rivolgersi a Dio. Di fronte al suo Dio si blocca e sbaglia persona. Eppure Gesù e la Madonna sono nella Memoria e nella Storia come simboli laicamente universali d’amore e di dolore.
Ecco perché Ungaretti tenta di far capolino nella nostra epoca ma non riesce a varcare il Rubicone.
II°
Abbiamo premesso questa breve nota su Ungaretti per indicare un segno simbolico di distinzione (solo simbolico perché in effetti esiste sempre una continuità con mutazione graduale) fra la prima e la seconda metà del secolo. Mentre Ungaretti non può non affidarsi alla bontà di Dio, per “Le ceneri di Gramsci” e per “La generazione tradita” l’uomo entra nella Storia come soggetto etico fino a scoprire l’immortalità della Storia. Ecco perché considero quest’ultimi cinquant’anni la “nostra epoca” che, a mio avviso, sono destinati a continuare per altri cinquanta, se non di più, dato lo stato dell’attuale società.
Perciò, innanzitutto, vediamo a quali colonne si appoggiano questi due poemi.
III°
Discorso sulla Storia e sulla Morale
La Storia
Il discorso parte dall’affermazione di Sartre “Occorre che la Storia entri in crisi, come la Fisica, e si liberi dagli assoluti di Hegel e di Marx”.
-Per Hegel, nella “Fenomenologia dello Spirito”, la Storia è finita. Solo così la dialettica può avere la sua sintesi e solo a questo punto la Storia può essere raccontata coerentemente a questa visione.
-Per Marx, quella che stiamo vivendo non è la Storia ma una lunga Preistoria. Solo una società senza classi potrà dare inizio alla Storia dell’ umanità.
-Per Sartre non esiste una sola dialettica, ma esistono diverse dialettiche a seconda delle epoche. Oggi, per esempio, abbiamo un’alternanza continua “alienazione/liberazione/nuova alienazione ecc..” senza fine e senza mai raggiungere una sintesi.
IV°
Storia e Morale
Anche qui si può partire da una affermazione di Sartre, quella sulla interdipendenza di Storia e Morale.
La Morale non potrebbe esistere senza la Storia (che è filosofia in azione) e la Storia non avrebbe alcun senso senza la Morale ( che è quella filosofia che muove la Storia ossia la fa esistere). Ne consegue una nuova identità dell’uomo come soggetto ad un tempo storico ed etico.
-Per Hegel l’uomo è al servizio dello Stato etico e, realizzatolo, si annulla in esso. E ciò può avvenire perché “la Storia è finita”, ossia ha raggiunto la sua sintesi dialettica.
-Per Marx l’uomo non è che il riflesso della struttura socio-economica. Solo in una società senza classi potrà realizzarsi come “uomo totale”, come dice Henri Lefebvre. Ecco perché oggi, per Marx, noi non viviamo che una lunga Preistoria.
-Per Sartre l’uomo, caduti tutti i valori e tutti gli assoluti (il “Dio è morto” di Nietzsche o “se Dio è morto tutto è possibile” di Dostoevskij), è rimasto solo di fronte alla propria esistenza, che è libertà, e non può far altro che crearsi egli stesso come uomo, condannato, com’è, alla propria libertà e alla propria responsabilità. L’uomo deve pertanto liberarsi dall’alienazione (” non c’è libertà senza liberazione”) per divenire un soggetto etico, autonomo e responsabile.Ossia l’uomo della nostra epoca, come abbiamo desunto dall’affermazione sartriana di partenza. E, di conseguenza, affinchè il soggetto etico si districhi concretamente nella Storia, Sartre afferma: “Occorre storializzarsi per storicizzarsi contro la storicità”. La storicità è la storia ancora in atto, ossia vissuta in modo parziale, limitato, incompleto, inconsapevole di ragioni profonde e di fatti lontani. Una storia pertanto inautentica. Storializzarsi vuol dire entrare nella Storia per farla. Anche un libro può essere un fatto storico, che sarà poi storicizzato. La storicizzazione è la storia il più possibile completa di fatti e di motivazioni e perciò la più autentica possibile. Non bisogna però mai dimenticare che la Storia, in quanto mossa dal soggettivismo etico, non può che essere, come la Verità, soggettiva. La Storia oggettiva non è Storia, è solo mistificazione, è inautenticità.
Ecco perché l’uomo della nostra epoca è un soggetto etico che si storializza per storicizzarsi. Per essere e rimanere autentico. Ecco perché l’aspetto della filosofia che meglio rappresenta la nostra epoca è l’Etica.Come l’aristotelico “Etos che precede il Logos”.
V°
Dalle “Ceneri di Gramsci” alla “Generazione tradita”
-Pasolini, nelle “Ceneri di Gramsci”,è pienamente cosciente della crisi della Storia e la descrive alla perfezione.Ma conclude in modo problematico. Egli è cosciente che la vita è possibile solo nella Storia,ma come può con passione entrare nella Storia se è anche cosciente,come Hegel, che la Storia è finita?
-”La generazione tradita” si pone come superamento di questa problematica ma anche della stessa crisi della Storia. Scopre infatti, attraverso il dolore che sta alla base della memoria storica, che la Storia è l’unica immortalità possibile per l’uomo su questa Terra. Fino a che il Sole non si spegnerà.
Per cui risultano superati pure l’assoluto storico hegeliano e l’assoluto preistorico marxista.
- Inoltre “La generazione tradita”, dopo il travaglio storico fatto di alienazione/
liberazione/nuova alienazione all’infinito ma che scoprirà l’immortalità della
Storia, è costretta ad affrontare la riflessione morale, un altro tipo di
travaglio (cioè la coscienza individuale) non meno doloroso di quello storico,
per poter giungere alla Creazione, ossia alla capacità dell’ uomo di creare se
stesso e il mondo. Ed ecco dalla viva carne dei protagonisti nascere
concretamente l’uomo come soggetto etico, ossia l’uomo della nostra epoca,
che tenderà infine al Mito eterno della Giovinezza interiore come preannuncio
dell’immortalità della Storia.
-Anche la morale di Pasolini tende a un Mito: quello dell’innocenza primordiale dell’ uomo. Egli lo
cerca nel sottoproletariato delle borgate, nella sottocultura delle favole arabe o dei pellegrinaggi cristiani, nella ingenuità irrefrenabile del Cristo dove il dolore è quello profondo e profondamente concreto e terreno della Madonna ai piedi della Croce (forse la più alta immagine lirica di Pasolini), oltre che nelle leggende arcaiche della nostra stessa civiltà.
-Non trovo molta diffferenza tra il Mito dell’innocenza primordiale di Pasolini e il Mito eterno della
giovinezza interiore della “Generazione tradita”. Ambedue esprimono il soggetto etico come uomo, e pertanto l’Etica come filosofia, della nostra epoca.
VI°
La poesia della nostra epoca
Con queste note abbiamo definito la struttura portante della poesia italiana della nostra epoca.
Ungaretti chiude la prima metà del secolo, Pasolini apre la nuova epoca e noi ne abbiamo tracciato il percorso fino a quando una nuova epoca non si affaccerà alla Storia. In effetti solo con la “Generazione tradita” può cominciare la storia della nostra epoca.
Chiunque può fare da corollario a questa struttura. L’importante è che ogni poema abbia in sé la filosofia, ossia l’Etica, della nostra epoca. Il mondo e l’umanità hanno bisogno di poesia, non di elzeviri linguistici.
L’albero ferito – Note per una storia della generazione tradita e per una riscrittura della storia del dopoguerra
Saturday, October 30th, 2010
2 Giugno ’46 – 18 Aprile ’48
I°
Queste due date segnano il principio e la fine della democrazia in Italia. Segnano il tempo in cui è maturato il tradimento contro la generazione che questa democrazia ha conquistato con i sacrifici e il sangue della Resistenza.
Le mie cantiche vogliono onorare questa generazione non solo per il grande fatto storico di cui è stata protagonista ma specialmente per la riflessione morale che essa ha portato avanti nel tempo e che quel fatto storico inevitabilmente implicava.
Non bisogna dimenticare che l’identità degli Italiani si è formata nell’Evo Moderno per tre fatti gloriosi e universalmente riconosciuti: Rinascimento, Risorgimento e Resistenza.
Solo chi si riconosce questa identità può trovare le proprie origini, al pari di tutti gli Europei, nelle antiche civiltà greca e romana. Non a caso l’Era Volgare comincia con la divulgazione (da qui “volgare”) da parte di Augusto della “Iex romana” a tutte le genti dell’Impero. Gli altri vagheranno per l’Ade, come dice Saffo, senza nome né volto, reietti dalla Storia.
Ora vorrei che i miei centocinquantamila studenti, che finora hanno onorato il mio Sito, riflettano sui personaggi della “Generazione tradita”. Sono tutti personaggi veri, fatti di carne e di sangue, tutti testimoni, come me, della nostra epoca.
Con la loro testimonianza essi impongono la riscrittura della storia del dopoguerra, che non solo non è finita ma che continuerà eterna nella memoria di tutte le generazioni a venire. Affinché nessuna generazione non possa mai più essere tradita.
Dopo di ciò possiamo porre le basi per tale riscrittura presentando quei fatti incontrovertibili che hanno determinato la caduta della democrazia.
II°
La generazione, che lottò con coraggio e sofferenze, che ebbe i suoi eroi e i suoi martiri per instaurare in Italia la Democrazia, fu chiamata “la generazione tradita” perché, immediatamente, nel corso di un paio di anni vide dissolversi il proprio sogno.
Il 18 Aprile ?48 fu salutato dai cattolici come la vittoria, un vero trionfo, della libertà contro il pericolo incombente di una dittatura comunista.
In questa espressione ci sono due falsi storici e ne diamo le prove.
Quella data sanzionò la caduta delle libertà in Italia così come storicamente avvenne con l’avvento delle Signorie contro le libertà dei Comuni.
Infatti,a centinaia, gli esuli italiani si rifugiarono a Parigi dove chiesero ed ottennero asilo politico. E’ indispensabile precisare che la Francia non concede asilo politico per reati di sangue, per cui gli esuli erano soltanto ed unicamente oppositori politici. Esiste prove incontestabile, è un macigno storico che gli storici, quando si decideranno a riscrivere la storia del nostro dopoguerra (perché questa storia dovrà per forza essere riscritta) , non solo non potranno rimuovere ma dovranno giocoforza accettarlo come fondamento della loro riscrittura.
Il secondo falso storico è “il pericolo incombente di una dittatura comunista in Italia”.
Questo pericolo non esisteva perché i patti di Jalta, che avevano diviso il mondo (o buona parte di esso) in due sfere di influenza (occidentale e sovietica) nettamente distinte, l’avrebbero categoricamente impedito. Stalin stesso avrebbe impedito un governo comunista in Italia. Non rispettare i patti di Jalta significava inevitabilmente la terza guerra mondiale che, dato il proliferare delle armi nucleari, si sarebbe trasformata in una catastrofe planetaria. E nessuno era così pazzo da rischiare tale catastrofe. Infatti i patti di Jalta durarono e furono rigidamente rispettati per quasi cinquant’anni garantendo,anzi, all’Europa cinquant’anni di pace. Ed anche questo è un macigno probatorio che gli eventuali storici della riscrittura del nostro dopoguerra mettere al centro delle loro ricerche. Ma se Jalta garantiva l’inesistenza di quel pericolo, perché tradire la generazione che aveva lottato per la democrazia, perché tradire la democrazia stessa?
III°
Le elezioni del 2 giugno 1946 per l’Assemblea Costituente diedero al partito cattolico il 35% circa dei voti con 207 deputati, ai socialisti il 20,7% che,con l’aggiunta dei naturali alleati Repubblicani e del partito d’Azione, raggiungeva il 27% circa con 147 deputati. I comunisti erano al 19% con 104 deputati.
Queste elezioni avevano designato i blocchi (cattolici contro laico- socialisti) e i numeri (207 contro 147) che avrebbero garantito, chiunque vincesse, l’alternanza di governo, ossia la base della democrazia. Un’eventuale elezione diretta dell’esecutivo , come proponeva Pacciardi, avrebbe reso vana la forte presenza comunista, utile, invece, in parlamento a livello legislativo.
Di fatto possiamo dire che queste elezioni sancirono la nascita della democrazia in Italia.
Come, allora, è potuto accadere che, nel corso di appena due anni, la situazione si ribaltasse, la democrazia venisse letteralmente travolta dalle elezioni del 18 Aprile ‘ 48 .
La caduta delle libertà in Italia non si sarebbe potuta verificare senza la disintegrazione del partito socialista.
La cosa aveva dell’incredibile, ma avvenne e in meno di due anni .
I socialisti avevano ormai mezzo secolo di storia, un padre come Turati e un martire come Matteotti. Le brigate socialiste della Resistenza si chiamavano “Brigate Matteotti”. Una morale laico – socialista aveva permeato larghi strati della coscienza popolare e si era affermata in tutta Europa. Che tutto ciò abbia potuto dissolversi e in così breve tempo, ha senza dubbio del paradossale. Per cui noi preferiamo attenerci ai fatti o , meglio, a quei fatti incontrovertibile perché accaduti sotto gli occhi di tutti.
Nonostante il responso del 2 Giugno ’46,che gli affidava la guida di uno dei due blocchi di alternanza democratica, Nenni si mette a predicare il fusionismo fra socialisti e comunisti e sigla persino un “patto di unità d’azione” fra i due partiti.
Che senso ha questo comportamento se ai comunisti, per Jalta, è precluso ogni accesso al potere?
Nel gennaio ’47, con l’intento di arginare l’ondata fusionista di Nenni, Saragat attua una scissione nel partito. Nenni allora, per l’elezioni del ’48 lancia il progetto di un “fronte popolare” fra comunisti e socialisti da contrapporre al partito dei cattolici.
Anche in questo caso non ci stanchiamo di domandarci qual è il senso del progetto visto che il “Fronte”, qualora avesse vinto, non sarebbe mai andato al potere.
Potete pensare che Stalin avrebbe infranto i patti di Jalta e rischiato una guerra nucleare per il gusto di mandare un Nenni e un Togliatti al potere di un Paese ( l’Italia) che nella mappa politica mondiale contava meno di nulla?
Infatti Togliatti si dichiarò contrario ed accettò da ultimo e di mala voglia.
Tutti sanno che i cattolici e comunisti trassero vantaggio da questa “follia” nenniana che si rivelò suicida per quanto riguardava i socialisti.
Ma prima di giungere agli effetti liberticidi di quel 18 Aprile, vorremmo cercare di capire la ragione per cui un uomo, guida dichiarata di un blocco politico di alternanza democratica, abbandona questo ruolo e spinge questa forza,nel migliore dei casi,in una posizione di stallo e , nel peggiore, come è avvenuto, a un suicidio politico.
Qual è insomma, la ragione di questa follia?
La Verità è certamente racchiusa in un diario che Nenni scrisse dal ’43 al 48. Di questo diario uscì qualche edizione ma chiaramente inaffidabile .Certamente qualcuno ha visto l’originale ma gli anni trascorsi sono tanti e questo qualcuno forse non esiste più. E forse non esiste più neanche quell’originale.
Per cui non ci resta che formulare un’ipotesi. E vi prego di prenderla per tale,
E’ possibile che Nenni non credesse alla pace, che Jalta non fosse in grado di garantire la pace, che i patti, prima o poi, qualcuno li avrebbe infranti e la terza guerra mondiale sarebbe stata inevitabile. Nenni,allora, con questa convinzione, fece una scelta di campo e la fece fare anche al suo partito.
Tutto fu inventato per mantenere la pace, persino la corsa agli armamenti da usare come d.
Invece la Storia lo smentì. Per il semplice fatto che il mondo aveva già subito sulla propria pelle la follia di Hitler.
Tutto fu inventato per mantenere la pace, persino la corsa agli armamenti da usare come deterrente.
Ma la pace fu mantenuta.
Invece,per quell’errore di valutazione,cadde la democrazia in Italia
IV°
L’atmosfera creata dall’onda fusionista di Nenni incentivò la strategia propagandistica dei cattolici e gli sforzi organizzativi dei comunisti. Battere il pericolo comunista fu l’ossessione dei cattolici.
La Chiesa di Roma aveva messo a disposizione dei suoi adepti tutti gli strumenti di cui disponeva: dalle parrocchie ai comitati civici di Azione Cattolica ed ai predicatori più idonei a quello che considerava il livello culturale dei suoi fedeli. Un certo Padre Lombardi fu il più rappresentativo di quel tempo e veniva chiamato il “microfono di Dio”. Passione, credulità e fanatismo formavano una miscela esplosiva. Il risultato fu salutato,come ho detto, la vittoria della libertà.
La cosa strana è che i dirigenti comunisti,ufficialmente perdenti,non mostravano di essere mortificati più di tanto.
Pareva che la sconfitta fosse già nel conto. L’unica loro preoccupazione fu di intervenire capillarmente presso la base per placarne la delusione ed anche una certa intemperanza addossando, da un lato, la responsabilità della sconfitta al partito socialista e ,in particolare a Nenni che solo, contro lo stesso parere di Togliatti aveva voluto quel nefasto “Fronte popolare” e affermando, dall’altro, che l’idea di una rivoluzione, che sempre avevano promesso ai loro militanti, non era affatto caduta. Anzi, alla prima concreta occasione il Partito era pronto per la grande “spallata”, termine molto diffuso allora nelle sezioni e nelle cellule. Il fatto è che l’occasione venne davvero, qualche mese dopo con l’attentato a Togliatti da parte di uno squilibrato. Ma fu lo stesso Togliatti dal suo letto di ospedale e non appena poté parlare, a dare precisi ordini di bloccare senza mezzi termini ogni velleità rivoluzionaria.
E tutti, magari ringhiando, rientrarono nei ranghi.
A dire il vero, il partito comunista non fu il vero sconfitto. La sua rappresentanza parlamentare era cresciuta di molto. Forte della sua organizzazione capillare, aveva fatto man bassa dei voti di preferenza elettorali riducendo a poche decine di deputati la rappresentanza socialista.
Il vero sconfitto non fu solo Nenni ma l’intero partito socialista ormai completamente fuori gioco da ogni possibilità di alternanza democratica di governo dato che anche la pattuglia saragatiana era ridotta ai minimi termini.
Era così nata la così detta “democrazia bloccata” che di democrazia non aveva nulla dato che per quarant’anni ci furono sempre lo stesso colore di governo e lo stesso colore di opposizione. Ne seguì il famoso “consociativismo” per il quale i due partiti trovarono il modo di spartirsi i poteri reali del Paese. I cattolici si presero l’economia lasciando ai comunisti la cultura, che essi disdegnavano per natura ed educazione. Risultava così emarginata e ridotta all’impotenza la cultura laico- socialista.
Non esisteva la separazione dei poteri. L’unico potere elettivo era il parlamento che usava esecutivo e magistratura (ambedue mai elettivi) come “libito fè licito in sua legge”. Cattolici e comunisti erano come i ladri di Pisa: litigavano di giorno per rubare insieme di notte. E questo rubare non è metaforico. Anni dopo, infatti e come tutti sanno, furono pescati con le mani nel sacco ed anche condannati.
“Bloccato” il governo e “bloccata” l’opposizione, l’unica preoccupazione era quella di sventare o prevenire ogni tentativo di opposizione reale. E,in questo,cattolici e comunisti si aiutavano.
Così, debitamente mascherate, iniziarono vere e proprie persecuzioni, emarginazioni di fatto a tutti i livelli, schedature segrete nelle forme più varie. Le vittime di quel vero e proprio colpo di Stato furono i socialisti di tradizione turatiana e matteottiana , i liberal-democratici di tradizione risorgimentale e quegli stessi comunisti che si sentivano traditi nella loro fede rivoluzionaria. Questa gente era letteralmente odiata sia dai cattolici che dai comunisti. I socialisti erano “socialtraditori” e la Svezia, esempio indiscusso di socialdemocrazia , era “la patria del capitalismo più spietato e di un popolo di alcolizzati”.
Pacciardi che, per ovviare al disastro, predicava la repubblica presidenziale, venne tacciato di fascismo( lui, il comandante delle Brigate Mazzini in Spagna! ) ed emarginato. Persino De Gaulle fu tacciato di fascismo .
L’Europa ovviamente rideva. Aveva smesso di prenderci sul serio.
La finale, come ho già detto, fu l’ondata di esuli a Parigi.
V°
L’ ” Italian affair”, come era chiamata in Europa e in America questa anomalia tutta italiana, ha avuto, oltre i tre protagonisti, qualche comprimario.
La CIA, che col patriottismo americano non ha sempre avuto molto a che fare, fu ben lieta di inserirsi nel gioco dando una mano la partito cattolico. La CIA aveva bisogno di tener desto nella opinione pubblica americana il pericolo comunista e il caso italiano si prestava alla perfezione. Non a caso seguì la “caccia alle streghe” del famoso maccartismo che durò fino a che il suo fautore non fu rinchiuso in manicomio. Ma l’azione della CIA fu talmente ossessiva che finì nel ridicolo.
Il Sig. Colby, direttore per anni della CIA in Italia ed incaricato di elargire finanziamenti a qualsivoglia associazione od organizzazione purché dichiaratamente anticomunisti, dichiarò nel suo memoriale, pubblicato in Italia, di aver sospeso ogni pagamento dopo aver constatato che le associazioni, che si dichiaravano anticomuniste, sorgevano in continuità come funghi e che metà di esse erano, anche se ben simulate, addirittura di emanazione comunista. Così avveniva che cattolici e comunisti avevano trovato il modo di dividersi equamente persino i dollari della CIA.
Un altro aiuto, pur limitante alla Sicilia, il partito cattolico lo ebbe dalla Mafia.
La Mafia, che si trovava in stato di dormiveglia, fu letteralmente svegliata da Scelba al tempo Salvatore Giuliano col preciso scopo di far fuori quest’ultimo.
Infatti la Mafia riuscì a farlo uccidere nel sonno dal suo stesso cugino Pisciotta, facendo poi fuori anche quest’ultimo con un caffè avvelenato.
Scelba diffuse la notizia che Giuliano era morto in un conflitto a fuoco con i carabinieri ma fu subito smentito dal più grande giornalista dell’epoca -Tommaso Besozzi, che rivelò la verità. Tommaso Besozzi fu lentamente emarginato. Si tentò di farlo passare per pazzo prelevandolo in casa con la camicia di forza. Alla fine, disperato si tolse la vita con una bomba carta in via Casini a Roma.
In compenso la Mafia si guadagno il ruolo di braccio secolare del partito cattolico che svolse sempre con molto scrupolo non solo contro sindacalisti o braccianti affamati di terre, ma specialmente nella gestione del consenso popolare e nella raccolta di voti.
A questo punto il giudizio storico non può che essere morale e viceversa.
Tutti i protagonisti hanno fatto cinicamente l’interesse di parte. Nessuno l’interesse della democrazia. Questa non è ingenuità. Perché tutta l’Europa ha cominciato a disprezzare l’Italia e la disprezza tutt’ora. Una classe politica furba non squalifica solo se stessa, squalifica l’intero Paese e sarà condannata dalla Storia. Gli italiani hanno dimenticato i morti della Resistenza, la CIA i morti di Normandia. La generazione non è stata tradita solo in Italia.
A conclusione è d’uopo una considerazione finale.
Quando cadono le dittature, si sanano le sentenze e si liberano i prigionieri politici (anche se i reati politici vengono camuffati da reati comuni). Così è avvenuto quando è caduto il fascismo.
Cos’ è avvenuto in America dopo la caduta del maccartismo. Nel gennaio ’70 tutte le sentenze di quel periodo furono sanate e i prigionieri liberati e riabilitati. In Italia, invece ancora oggi, nessuna sanatoria di sentenze. Gli esuli, quanto meno i sopravvissuti, sono sempre a Parigi. E nessuna riabilitazione, neppure per i morti.
Ciò che dispiace è che gli Stati dell’Unione Europea non si occupano del “caso Italia”. Chiusi nel loro disprezzo morale, considerano l’Italia solo un grande mercato di consumo da sfruttare, una immensa discarica.
Per cui , ai sopravvissuti della Resistenza non resta che piangere. Sulle tombe dei loro compagni caduti.
Infatti a vent’anni di dittatura catto-fascista (per usare i termini in voga) seguiranno quarant’anni di dittatura catto-comunista che i saprofiti continuano ancor oggi, a far sopravvivere.
Ma noi siamo sicuri che una giustizia verrà. E verrà dalla Storia. Questi uomini dell’ Inferno, come Sartre li chiamava, saranno sepolti nell’Inferno della Storia. E nessuno li piangerà.
Anzi, come si diceva nel ’68, una risata li sotterrerà.
lampo di corallo
Tuesday, October 26th, 2010Oh tempo,tempo
perchè sei tu crudele
chè allontani da me
quel lampo di corallo
che mi è svettato innanzi
come un dardo d’amore
irraggiungibile
Nuovo Umanesimo e progetti globali
Wednesday, October 13th, 2010Contro fondamentalismi,populismo e localismi sterili.
Vediamo di riassumere il messaggio per le nuove generazioni che saranno costrette a cambiare il mondo.
Il nuovo umanesimo, in nome della libertà, deve informare e formare la coscienza individuale contro il fondamentalismo, il fanatismo e il terrorismo. Non esistono missioni di pace ma di guerra contro queste catastrofi dell’umanità.
Dal nuovo umanesimo deriva la liberaldemocrazia contro il populismo che,proprio in nome del popolo, diventa autoritarismo finendo per negare i diritti più elementari dei cittadini.
La trasformazione sociale, dovuta allo strepitoso sviluppo delle tecnologie, pone alla base dell’economia i grandi settori portanti e pertanto i grandi progetti multinazionali che produrranno un indotto a livello planetario e con esso la piena occupazione che è la vera base dell’economia contemporanea. E ciò contro ilocalismi sterili che non potranno che produrre corruzione.
La caduta dei grandi ideali provoca inevitabilmente squallida fame di denaro.
Killeraggio mediatico come attentato alla democrazia
Monday, October 11th, 2010I veri killer mediatici sono le televisioni,nessuna esclusa,al soldo del padrone. Esse riportano quotidianamente e fino all’ossessione i titoli di due giornali che altrimenti non avrebbero alcun lettore e che sono di fatto pura manovalanza al soldo delle televisioni e del loro padrone.
Gabellare il killeraggio mediatico per libertà di stampa è un attentato alla democrazia cui bisogna rispondere organizzando decisamente la resistenza secondo i dettami della Costituzione che legifera anche in questa materia.I movimenti e i partiti democratici si sveglino.
Si tenta persino un facsimile di strategia della tensione.Ma,per fortuna, si tratta solo di un velinaro e di una pistola giocattolo. Ma il solo tentativo è sempre un pericolo e i democratici sappiano essere responsabili del momento che viviamo.
Nuovo Umanesimo e liberal-democrazia
Monday, October 4th, 2010Io spesso mi domando che differenza ci sia.in campo economico-sociale, fra i Tories e il new labour inglesi. Le vere differenze sono nominali e di tradizione ma ben poche di sostanza. Ogni tanto si accaniscono oltre misura sun qualche vertenza per dimostrare l’esistenza di un conflitto mentre di fatto si dilaniano ciascuno al proprio interno anche, come abbiamo visto recentemente,tra fratelli di sangue.
Il grande progresso tecnologico ha assotigliato i grandi eserciti industriali del passato. la lotta di classe dovrebbe essere scomparsa tranne dove si manifesta una tragica ignoranza padronale. Abbiamo recentemente visto un capo-fabbrica negare agli operai i più elementari diritti umani,quelli che tutti noi ci siamo conquistati in oltre due secoli dall’Illuminismo a oggi. Si tratta ad ogni modo di casi di follia che, però, trovano assenso da parte di movimenti populisti e autoritari.
Ecco così apparire la vera dialettica politica del nostro tempo costituita da questi movimenti autoritari contro la liberal-democrazia degli altri partiti che possono benissimo fare blocco nel nome eterno della libertà.